Giulio Casiraghi
Nasce il 17 ottobre 1899 a Sesto San Giovanni. Operaio specializzato, è montatore elettromeccanico. Entra nel Partito Comunista sin dalla sua fondazione. Nel 1930 viene arrestato per attività antifascista, sottoposto a tortura da elementi dell’Ovra e condannato a cinque anni di reclusione. Viene dimesso nel 1932 per amnistia, nuovamente arrestato nel 1935 e detenuto per sei mesi. Uomo di intelligenza non comune, dinamico e buono, seppe crearsi in fabbrica una larga simpatia tra gli operai. Redattore dei giornali clandestini “Il Risveglio” e “La Fabbrica”. Organizzatore degli scioperi del marzo ’43, negli stabilimenti Ercole Marelli di Sesto San Giovanni, è arrestato una terza volta e detenuto per altri tre mesi. Dopo l’8 settembre 1943 organizza l’azione clandestina, raccoglie e smista materiale di propaganda. Nel marzo ’44, con Fogagnolo, organizza un nuovo sciopero alla Ercole Marelli che avrà un seguito enorme. Arrestato il 12 luglio, al ritorno dal lavoro, verso mezzogiorno, viene trasferito nelle carceri di Monza, dove è torturato da SS tedesche. L’8 agosto, insieme a Fogagnolo, viene trasferito al 5° raggio del carcere di San Vittore. E insieme, i due amici divideranno anche il selciato di piazzale Loreto.
Nel corso della sua detenzione, Giulio ha modo di incontrare diverse volte la moglie Erminia Sala che si preoccupa delle sue condizioni di salute, a causa dei maltrattamenti subiti. “Giulio, t’han dà di bott?” “No, son borlà giò di scal”. Così Casiraghi spiega a Erminia, il livido sotto gli occhi e l’andatura zoppicante. “Stanotte – dice ancora – è suonato l’allarme, siamo scesi in rifugio e, sai le scale sono al buio, ho inciampato e sono caduto.” La prima volta che Erminia si accorge dei lividi è il 20 luglio; lo vede venire avanti e piange, ma lui la rassicura. Non parla dei suoi mali con lei, per non angustiarla, non parlerà sotto le torture. Forse per questo è un prigioniero di riguardo. “Non riesco a capire perché non mi mettono in compagnia, ma pazienza, tutto passerà” scrive a Erminia il 31 luglio 1944. Ed ancora, il 3 agosto 1944 scrive dal carcere di Monza: “A me hanno cambiato cella e ti dirò che sono contento perché nella nuova cella non ci sono cimici e questo è l’essenziale, però sono ancora solo e non capisco perché non mi mettono in compagnia. Se ci sarà qualcosa di nuovo non mancherò di fartelo sapere.” Prima di essere trasferito a San Vittore Giulio Casiraghi scrive le sue ultime righe sulla porta del carcere di Monza: “Il mio pensiero alla mia cara moglie e ai miei cari, il mio corpo alla mia fede.”
Dopo il trasferimento a San Vittore, Erminia è convinta che andrà in Germania: è un ottimo operaio e lo metteranno sicuramente a lavorare in qualche fabbrica.
Il 10 agosto 1944, la sorella Nanda, convalescente da un’operazione di appendicite, si affaccia al balcone di casa, in via Marconi, a Sesto e sente che in piazzale Loreto hanno fucilato degli antifascisti. Ha un presentimento e corre là. Un miliziano fascista le chiede cosa voglia e lei risponde che teme che tra i morti ci sia il fratello. Il miliziano comincia a sollevare, una a una, le teste dei fucilati: “E’ questo?”, “No”, risponde la Nanda. “E’ questo?”, “No”, risponde ancora la Nanda, sempre più angosciata. E così ancora per un paio di volte. “Quando vidi che uno era Fogagnolo – disse anni dopo Nanda – non ebbi più dubbi sul fatto che anche Giulio era lì assassinato.” Si ritrae per andare alla fermata del tram e, affaticata per i postumi dell’operazione recente, torna a casa affranta e sconsolata.
Anche la moglie sente dei quindici fucilati, corre allora anche lei in Piazzale Loreto. Erminia vede il cadavere di Giulio e grida: “Assassini, assassini!”. Le si avvicina uno della milizia e le dice: “Ah, quello è tuo marito? Ha alzato il pugno ed ha gridato: “Viva la rivoluzione!” Erminia grida ancora e poi sviene.